giovedì 4 marzo 2010

Un grande passo

(originariamente del 21 gen 2009)

Oggi è successo qualcosa di veramente importante e che ci tocca da vicino, qualcosa che apparentemente non riguarda la disabilità: si è insediato il primo presidente di colore degli USA.
In un paese segregazionista per legge verso le persone di colore fino a qualche decennio fa, in cui il sentire comune – per lo meno in certe zone – era ancora apertamente 'razzista' indipendentemente dalla successiva apertura formale, si è passati dalla non accettazione del 'diverso' (con l'aggravante dei futili motivi), dalla sua segregazione e gli insulti alla proclamazione di un presidente di colore, di un 'diverso'.
Ma non è questa la sede per una analisi socio-politica della situazione americana, qui dobbiamo parlare delle persone con sindrome di Down.
Le persone con sindrome di Down sono per certi versi, e non solo per i numeri, l'emblema stesso della cosiddetta 'diversità': non hanno evidenti gravi disabilità fisiche che impediscono le più 'normali' azioni, non hanno gravi disfunzioni intellettive o cerebrali che minano irrimediabilmente il pensiero o l'azione: siamo (come padre posso usare la prima persona plurale) capaci di fare molto, direi quasi tutto, di ciò che fanno mediamente le persone senza la sindrome di Down, ma lo facciamo 'a modo nostro': spesso più lentamente, con un po' più di fatica, con un po' meno 'eleganza' o 'efficienza'. Costringiamo gli 'altri' a pensare che il mondo non è tutto uguale, che ci sono altri modi di vivere e di essere anche se non sono alla moda. Siamo scomodi. Siamo 'diversi'.
Ma non siamo certamente inutili né da rifiutare né da respingere.
Ultimamente parlando con una persona mi sono ritrovato a dire: la vera disabilità su cui agire è quella della società.
Evidentemente è una provocazione se presa da sola, ma è una frase che completa quelli che a mio parere sono i 3 principali ambiti d'azione della corretta presa in carico globale delle persone con sindrome di Down:
1) concentrarsi sulla persona, per permetterLe di far emergere il suo potenziale (la varie terapie fisiche e psicofisiche – se il caso e comunque rispettose della persona -, incontri e attività psicologiche educative etc. singole e di gruppo a seconda delle età e delle situazioni, sostegno scolastico, affiancamento lavorativo, accompagnamento alla vita adulta ...)
2) concentrarsi sulla famiglia, per mantenere la sua propria armonia interna e sviluppare al massimo un ambiente positivo, accogliente e propositivo in cui la persona potrà crescere (e indirettamente formare genitori e fratelli per diffondere proporre e difendere atteggiamenti sociali positivi - vedi il punto successivo)
3) last but non least: concentrarsi sulla società, sia a livello macro (politico, leggi, istituzioni, Scuola, Lavoro, educazione sociale ...) che a livello micro (quartiere / territorio di vita della persona, ambienti scolastici o lavorativi ...) perchè le persone con sindrome di Down possano vivere in un ambiente sociale che non le discrimini e che le accetti per quello che sono: persone, se vogliamo 'diverse', ma persone.
Ho rimarcato 'diverse', perchè è vero. E' inutile fare un trattato: il nostro cromosoma in più non è lì a far niente. Ma la sua azione, pur se a svariati livelli e più o meno evidente, non deve essere motivo di esclusione o razzismo.
Su questo bisogna fare ancora molto, al di là delle convenzioni Onu sulla disabilità e di tutte le bellissime esperienze positive di accoglienza o inclusione che ciascuno di noi può portare, per fortuna.
E gli eventi odierni americani a riguardo rinnovano l'accostamento tra il percorso fatto dal popolo americano nei confronti dell'accettazione delle persone di colore ritenute a torto 'diverse' e il nostro mondo fatto di piccole o grandi incomprensioni o peggio esclusioni che tanto ancora deve camminare, non perchè un giorno debba per forza diventare Presidente della Repubblica una persona con sindrome di Down o con qualsiasi altra disabilità, ma perchè nessuno si scandalizzi se un giorno qualcuno con sindrome di Down o con qualsiasi altra disabilità lo vorrà fare.

PS Ovvio che il presidente americano di colore non cancella tutti i problemi che hanno ancora le persone di colore in Usa e in altre parti del mondo, ma non vedo un segno migliore di questo per dire: uguaglianza (per lo meno nella pelle)

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