giovedì 4 marzo 2010

Avatar, un altro passetto

(originariamente del 1 mar 2010 )

Due parole sul film Avatar, che l'altro giorno sono finalmente riuscito a vedere.
Non entro nel merito del giudizio sulle qualità del film né sui valori espressi nello svolgimento della sua trama (che riguardano anche la 'diversità', ma non voglio rovinare le attese di chi non l'avesse ancora visto né voglio entrare in discorsi più grandi di me).
Ma non posso non sottolineare quello che a mio personale parere è un fatto importante: il personaggio protagonista del film è una persona su sedia a rotelle, ovvero una persona con disabilità.
Quello che mi piace del film è che la sua condizione non è sottolineata dagli altri personaggi, nel bene o nel male, e neanche è il tema principale del film: semplicemente viene presentata e vissuta da tutti -o quasi- nel film come un dato di fatto di cui il personaggio stesso e gli altri non possono non tener conto così come per ogni altra caratteristica personale di ciascuno, e che lo condiziona ma non gli impedisce di svolgere il suo lavoro né la sua missione nel film.
Una serie veloce di considerazioni:
- il personaggio si realizza nella vita nonostante l'infermità alle gambe e la sedia a rotelle
- è evidente che il suo è uno sforzo personale maggiore per 'stare al passo' ma con orgoglio e senza compatimenti
- gli rimane il desiderio di 2 gambe sane (la prima cosa che fa come Avatar è correre, ed è la leva su cui lavora il capitano per avere il suo appoggio)
- purtroppo anche nel futuribile e progredito 2150, solo chi può permetterselo ha 'le gambe nuove'
- purtroppo c'è sempre una esigua minoranza che prende in giro chi è 'diverso' (i 2 soldati all'inizio del film)

Ma su tutto prevale il fatto che stiamo parlando di un film di successo in cui normodotati e disabili lavorano alla pari, senza pregiudizi (all'inizio la dottoressa non vuole il protagonista non perchè è su sedia a rotelle ma perchè inesperto) ma senza dimenticare l'oggettività della situazione.
Grazie al cielo non è l'unico esempio (al volo mi vengono alla mente i telefilm Ironside degli anni '70 di cui ho qualche vago ricordo del poliziotto protagonista su sedia a rotelle, il ragazzo con sindrome di Down con cui parla e si confronta 'alla pari' Benigni nel film Johnny Stecchino), ma ritengo che la strada giusta per i media (film, tv ...) per contribuire al processo di inclusione sociale delle persone con disabilità sia quello di produrre spettacoli non centrati sulla disabilità in cui si sottolinei la 'diversità' (come più spesso viene fatto, a volte anche con pregevoli risultati), ma spettacoli in cui i diversi personaggi con o senza disabilità interagiscano con pari dignità e abbiano le loro avventure (una analogia nel campo dell'integrazione socio/razziale la troviamo nella prima serie di telefilm Star Trek in cui collaboravano 'naturalmente' astronauti di varie nazioni e colore della pelle in piena guerra fredda e lotte anti razziste in Usa). Se poi è un film di successo come Avatar, meglio ancora: si raggiungeranno molte più persone
Spero e credo che molti anche solo per un po' di tempo dopo aver visto Avatar vedendo una persona su sedia a rotelle si concentreranno sulla persona e non sulla sedia a rotelle.
Sarà poco ma è un altro piccolo passo.

Si fa tanto, ma c'è ancora molto da fare 2 “post Facebook”

(originariamente del 22 feb 2010 )

Leggendo quanto oggi riportano i giornali a riguardo dell'abominevole gruppo di Facebook contro i ragazzi con sindrome di Down (vero o presunto - in questo caso mi pare si dica "troll" - che sia), mi ritrovo purtroppo nella situazione di ribadire quanto già scritto nel mio messaggio del mese scorso sull'episodio della pizzeria di Treviso.
Purtroppo nulla di nuovo sotto il sole se non una ancor rinnovata forza per camminare a testa alta, noi e nostri figli.

Si fa tanto, ma c'è ancora molto da fare

(originariamente del 13 gen 2010 )

Sul Corriere della Sera di oggi ho letto del fatto raccapricciante avvenuto in una pizzeria di Treviso in cui una ragazza con sindrome di Down è stata pesantemente insultata.
Ripeto quanto ho scritto a commento sul sito della Tribuna di Treviso che ha riportato per esteso la notizia:
"... Caro papà, sono anch'io padre di 2 figli di cui la più piccola è persona con sindrome di Down. Innanzitutto un abbraccio forte a te e a tutti i tuoi figli.
C'e tutto un mondo di persone, genitori figli professionisti associazioni, che ogni giorno si spende per un mondo in cui la parola 'diversità' non abbia alcuna implicazione negativa, personale o sociale; tanti che costruiscono, con l'esempio del quotidiano e con il lavoro, un mondo in cui ciascuno possa dare il suo contributo. Purtroppo molti ancora sono 'indietro', non hanno l'esperienza, forse addirittura le capacità intellettive, di capire che non ci sono solo 'loro' nel mondo. Io ritengo che queste persone, come quella ti ha rivolto quella frase irripetibile che hai trovato in pizzeria, siano i veri disabili per una sana società. E' su loro, più che sui nostri figli, che bisognerebbe lavorare. Purtroppo c'è ancora tanto da fare. ... "

E qui ricordo che secondo le ultime definizioni dell'OMS la disabilità è da intendersi come la distanza che separa la condizione di salute di chiunque di noi (vale per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla concezione tradizionale di disabilità) con le condizioni ambientali in cui si trova.
Se con il nostro amore, la cura, gli interventi esterni e le terapie varie ci si concentra soprattutto sulla condizione di salute della persona con disabilità, e in particolare dei nostri figli, il mio personale parere è che tutti noi, genitori associazioni ed operatori volontari e professionali ed insegnanti, abbiamo anche il compito di lavorare sia esplicitamente che con la testimonianza perchè le condizioni ambientali, in questo caso la società in cui viviamo, siano capaci di permettere a tutti la loro vita. In questo le associazioni e le loro rappresentanze politiche, possono - e devono - avere la forza di farsi sentire nelle sedi opportune.
E' capitato a Treviso, è capitato prima e capiterà ancora di trovare idioti che con una frase rischiano di rovinare una vita, spero che un giorno non solo noi diretti interessati ma tutta la società tratti questi individui come meritano.
Che i nostri figli siano sempre orgogliosi.

Insieme

(originariamente del 29 mag 2009)

Qualche domenica fa ho accompagnato mio figlio maggiore a giocare una partita di un torneo di minibasket.
Quando la squadra avversaria è scesa in campo mi accorgo che tra loro gioca una ragazzina (nel minibasket è frequente la squadra mista) che si rivela essere una persona con sindrome di Down.
Durante la partita ella ha partecipato alternandosi tra campo e panchina come i suoi compagni.
Obbiettivamente, e a mio parere non dobbiamo mai dimenticarci di esserlo, in partita ha toccato pochi palloni ma è sempre stata vicina all’azione e trattata dai compagni e avversari come tutti.
Di sera a casa, visto che mio figlio saltuariamente inizia ad esternare riflessioni e domande sul presente e futuro di sua sorellina (che è persona con sindrome di Down), gli ho parlato per sottolineargli che la ragazzina con la sindrome di Down in campo giocava, si impegnava e si divertiva come lui e tutti gli altri: “In effetti – ha detto - mi ero accorto che aveva la sindrome, ma solo all’inizio poi non ci ho più fatto caso”.
Penso sia stato lui a dare una lezione a me.

Un grande passo

(originariamente del 21 gen 2009)

Oggi è successo qualcosa di veramente importante e che ci tocca da vicino, qualcosa che apparentemente non riguarda la disabilità: si è insediato il primo presidente di colore degli USA.
In un paese segregazionista per legge verso le persone di colore fino a qualche decennio fa, in cui il sentire comune – per lo meno in certe zone – era ancora apertamente 'razzista' indipendentemente dalla successiva apertura formale, si è passati dalla non accettazione del 'diverso' (con l'aggravante dei futili motivi), dalla sua segregazione e gli insulti alla proclamazione di un presidente di colore, di un 'diverso'.
Ma non è questa la sede per una analisi socio-politica della situazione americana, qui dobbiamo parlare delle persone con sindrome di Down.
Le persone con sindrome di Down sono per certi versi, e non solo per i numeri, l'emblema stesso della cosiddetta 'diversità': non hanno evidenti gravi disabilità fisiche che impediscono le più 'normali' azioni, non hanno gravi disfunzioni intellettive o cerebrali che minano irrimediabilmente il pensiero o l'azione: siamo (come padre posso usare la prima persona plurale) capaci di fare molto, direi quasi tutto, di ciò che fanno mediamente le persone senza la sindrome di Down, ma lo facciamo 'a modo nostro': spesso più lentamente, con un po' più di fatica, con un po' meno 'eleganza' o 'efficienza'. Costringiamo gli 'altri' a pensare che il mondo non è tutto uguale, che ci sono altri modi di vivere e di essere anche se non sono alla moda. Siamo scomodi. Siamo 'diversi'.
Ma non siamo certamente inutili né da rifiutare né da respingere.
Ultimamente parlando con una persona mi sono ritrovato a dire: la vera disabilità su cui agire è quella della società.
Evidentemente è una provocazione se presa da sola, ma è una frase che completa quelli che a mio parere sono i 3 principali ambiti d'azione della corretta presa in carico globale delle persone con sindrome di Down:
1) concentrarsi sulla persona, per permetterLe di far emergere il suo potenziale (la varie terapie fisiche e psicofisiche – se il caso e comunque rispettose della persona -, incontri e attività psicologiche educative etc. singole e di gruppo a seconda delle età e delle situazioni, sostegno scolastico, affiancamento lavorativo, accompagnamento alla vita adulta ...)
2) concentrarsi sulla famiglia, per mantenere la sua propria armonia interna e sviluppare al massimo un ambiente positivo, accogliente e propositivo in cui la persona potrà crescere (e indirettamente formare genitori e fratelli per diffondere proporre e difendere atteggiamenti sociali positivi - vedi il punto successivo)
3) last but non least: concentrarsi sulla società, sia a livello macro (politico, leggi, istituzioni, Scuola, Lavoro, educazione sociale ...) che a livello micro (quartiere / territorio di vita della persona, ambienti scolastici o lavorativi ...) perchè le persone con sindrome di Down possano vivere in un ambiente sociale che non le discrimini e che le accetti per quello che sono: persone, se vogliamo 'diverse', ma persone.
Ho rimarcato 'diverse', perchè è vero. E' inutile fare un trattato: il nostro cromosoma in più non è lì a far niente. Ma la sua azione, pur se a svariati livelli e più o meno evidente, non deve essere motivo di esclusione o razzismo.
Su questo bisogna fare ancora molto, al di là delle convenzioni Onu sulla disabilità e di tutte le bellissime esperienze positive di accoglienza o inclusione che ciascuno di noi può portare, per fortuna.
E gli eventi odierni americani a riguardo rinnovano l'accostamento tra il percorso fatto dal popolo americano nei confronti dell'accettazione delle persone di colore ritenute a torto 'diverse' e il nostro mondo fatto di piccole o grandi incomprensioni o peggio esclusioni che tanto ancora deve camminare, non perchè un giorno debba per forza diventare Presidente della Repubblica una persona con sindrome di Down o con qualsiasi altra disabilità, ma perchè nessuno si scandalizzi se un giorno qualcuno con sindrome di Down o con qualsiasi altra disabilità lo vorrà fare.

PS Ovvio che il presidente americano di colore non cancella tutti i problemi che hanno ancora le persone di colore in Usa e in altre parti del mondo, ma non vedo un segno migliore di questo per dire: uguaglianza (per lo meno nella pelle)

Inizio le danze

Ed eccomi qui, un poco titubante ma con tutte le speranze ed entusiasmi che accompagnano una nuova avventura.
Innanzitutto, perchè D.Blog ? Il D sta per disabilità o anche diversità o anche sindrome di Down.
Mi chiamo Gian Marco Gavardi, sono papà di 2 figli, uno è persona con sindrome di Down, sono socio e collaboro con un paio di associazioni nel mondo della disabilità.
Qui scriverò quando capiterà l'occasione le mie considerazioni su fatti o situazioni come anche pensieri slegati dall'attualità, in ogni caso spero che questo sia un piccolo contributo e stimolo alla riflessione e discussione sul tema dell'inclusione sociale che, volenti o nolenti, coinvolge tutti noi da qualunque parte riteniamo di stare.

PS Per gli amici di AGPD Onlus di Milano: i primi post saranno sostanzialmente copia di altrettanti miei contributi al forum da voi aperto, ma di libera partecipazione, un annetto fa. Continuerò a postare sul forum ma approfitto delle precedenti 'pensate' per alimentare l'inizio del D Blog.